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Opera diffusa in modalità open access e sottoposta a licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale - Non opere derivate (CC BY-NC-ND), 3.0 Italia.
La retorica della paura non è una dinamica nuova, le cui conseguenti pratiche di stigmatizzazione ed emarginazione – seppur declinate in contesti sociali e politici differenti – registrano spesso un andamento che si ripete. Crisi economiche, processi di globalizzazione, cambiamenti climatici, terrorismo, sviluppo tecnologico, sono solo alcuni degli aspetti della contemporaneità a cui si lega l’ampio serbatoio di paure da cui prendono vita e forma le «campagne di panico morale» in cui ansie individuali e collettive vengono scaricate sull’immagine di “altri”. Quell’orizzonte che una volta era carico di fiducia nel progresso, sembra essere sempre più un traguardo verso l’insicurezza e la precarietà della condizione umana.
Non stupisce lo slittamento evidente nel registro della comunicazione politica che piuttosto che narrare sogni e speranze, propone incubi e paure. I gestori della vita pubblica trovano così nelle paure e nell’angoscia sociale il collante attraverso cui ristabilire la propria autorità e legittimità al potere, con la promessa di salvezza da pericoli imminenti a cui danno volto e senso nominandoli. Il lessico della paura ha assunto così un’importanza sempre crescente, vero e proprio ago della bilancia di contese politiche, non solo elettorali.
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